Nel 1941 i ricercatori Paul Siple e Charles Passel si trovavano in Antartide e misurarono il tempo che un panno umido impiegava per congelare e trovarono che dipendeva dalla velocità del vento. Da qui nasce il Wind Chill, un’indice che misura la temperatura che percepiamo sulla pelle per effetto del vento. Esprime infatti la capacità di togliere calore al corpo umano, perciò è una misura del tasso di calore perso dal corpo. La ventilazione, si sa, rende più rapida l’evaporazione. A sua volta l’evaporazione è un processo che assorbe calore (al contrario della condensazione) come ben sappiamo quando usciamo da una doccia…
Certo, un essere umano non è un semplice panno umido, ma è ben più complesso. Diversi infatti sono i fattori che influenzano la sensibilità alla temperatura: età, corporatura, stato di salute, tanto per citarne alcuni. Tuttavia, per il meccanismo “intrinseco” appena spiegato, a differenza degli indici di calore questo indice descrive davvero la reale temperatura avvertita dal corpo in funzione della temperatura dell’aria e della velocità del vento. Il vento, accrescendo l’evaporazione, aumenta, di conseguenza, l’asportazione di calore corporeo e, in presenza di basse temperature, crea condizioni di forte disagio da freddo.
Per il calcolo è ancora spesso impiegata un’equazione empirica che tiene conto della temperatura dell’aria e della velocità del vento. Si tratta della cosiddetta “formula di Steadman”:
nella quale Ta = temperatura dell’aria (°C), v = velocità del vento (nodi). Ricordiamo che elevare a 1/2 equivale a estrarre la radice quadrata. L’indice è applicabile quando la velocità del vento è compresa tra 1.78 m/s e 25 m/s (cioè tra circa 3 nodi e 48 nodi) e quando la temperatura è inferiore o uguale a 10°C.
Sapendo che 1 m/s corrisponde a 1,943 nodi è possibile avere una formulazione utilizzando i m/s per la velocità del vento. Portando poi dentro parentesi il termine 0.045 si ottiene la seguente equazione:
dove stavolta v è appunto espresso in m/s.
Come sempre, ad ogni classe degli indici corrispondono determinati effetti sul nostro organismo, che nel caso del Wind Chill danno luogo alla seguente tabella:
Le valutazioni ottenute con queste equazioni sono ragionevolmente accettabili. Tuttavia gli esperti hanno perfezionato l’indice grazie a studi più approfonditi che hanno portato ad una formulazione meno “severa” della precedente, ma più precisa. Il lavoro è stato presentato il 2 Agosto 2001 da Osczevski e Bluestein a Toronto (Canada) al meeting della Jag/TI (Joint Action Group for Temperature Index). La nuova formula è rappresentata mediante la seguente equazione:
Qui la temperatura Ta è ancora espressa in °C, mentre la velocità del vento v è espressa in km/h.
Quando vi sono condizioni di calma di vento e le temperature si aggirano su valori relativamente bassi, cioè intorno a 0°C, situazioni abbastanza frequenti nelle nostre regioni durante i mesi invernali, anche l’umidità gioca un ruolo molto importante sullo stato di benessere dell’uomo poiché produce un sottilissimo velo d’acqua sull’epidermide. La cute, essendo più calda, provoca l’evaporazione di questa pellicola d’acqua con un considerevole aumento del disagio da freddo. Tuttavia tale disagio non può essere valutato tramite questa equazione poiché essa è valida solo per velocità del vento superiori o uguali a 1.3 m/s (ovvero per v > 4.68 km/h).
Ancora più preciso dell’indice WC, è l’indice THW, il quale accoppia anche l’effetto dell’umidità.